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Il cancro della cervice (collo dell’utero) è il secondo più comune cancro nelle donne nel mondo (con  500.000 nuovi casi diagnosticati ogni anno e 230.000 decessi per anno), il quarto in occidente. In Italia colpisce 3500 donne/anno (ovvero 1 donna su 10.000 all’anno e 1 donna su 163 nell’intero arco della sua vita) con 1000 decessi/anno.
La causa del cancro della cervice è il virus del Papilloma Umano (HPV), presente nel 99.7% dei carcinomi del collo dell’utero.
La presenza del virus nella popolazione sessualmente attiva è elevata: in Italia quasi il 10% ha attualmente l’infezione e oltre il 50% l’ha avuta. In effetti esistono tre possibilità di evoluzione dell’infezione da HPV: regressione, persistenza e progressione. Il virus può essere eliminato dalla risposta immunitaria della donna prima di sviluppare un effetto patogeno; oppure può restare latente; o infine può andare incontro a replicazione, provocando una lesione a livello genitale che, se non regredisce spontaneamente, può manifestarsi attraverso diverse forme cliniche.
Esistono più di 120 forme di Papilloma virus umani e, di questi, più di 40 tipi infettano
primariamente il tratto genitale. Ogni virus è indicato con un numero.
I sottotipi HPV a basso rischio oncogeno (6,11, 41, 42, 43, 44) sono generalmente
associati a lesioni epidermoidali benigne come verruche, papillomi e condilomi acuminati, questi ultimi importanti per l’elevata contagiosità e la possibilità di convertirsi in lesioni maligne.
I sottotipi ad alto rischio (16, 18, 31, 33, 35,39, 45, 46, 51, 52) si riscontrano nelle displasie o lesioni pre-neoplastiche,  di grado basso (L-SIL) o alto (H-SIL), e in molte patologie maligne del tratto genitale inferiore femminile, come il carcinoma della cervice, della vagina e della vulva.
Di essi l'HPV 16 e 18 da soli sono responsabili del 70% dei cancri cervicali.
Generalmente il tempo che intercorre tra infezione e insorgenza di displasia è di 5 anni. La progressione sembra essere dipendente dal sottotipo. L'identificazione dell' HPV 16 in donne
con lesioni citologiche di basso grado sembra determinare la progressione verso l’alto grado in circa il 60% delle donne entro 14 mesi, ma in generale la progressione da displasia lieve a cancro richiede almeno 5 anni.
E’ in tale contesto che si inseriscono i programmi di screening, diagnosi e prevenzione.
Lo screening delle lesioni si effettua grazie al pap test (test di Papanicolau), che in modo atraumatico preleva delle cellule che vengono strisciate su un vetrino (esame citologico).
Data la possibilità di nuova insorgenza di lesioni opure di falsi negativi (ovvero mancato rilievo di lesioni pur presenti), è bene ripetere periodicamente l’esame (con intervalli da 1 a 3  anni, a seconda dei casi).
In presenza di anomalie, o di difficoltà interpretative al pap test (ASCUS; AGUS), si effettua l’esame diagnostico di secondo livello rappresentato dalla colposcopia, che osserva il collo dell’utero con un microscopio e può completarsi con una biopsia mirata (esame istologico).
La politica di screening del pap test (oggi in Italia il 70% delle donne ne ha eseguito almeno 1 negli ultimi 3 anni) e l’eventuale diagnosi con colposcopia/biopsia mirata ha drasticamente ridotto la frequenza e mortalità per questo tumore in occidente: attualmente l’80% di questi tumori è nei paesi in via di sviluppo.
Da pochi anni si è reso disponibile per la popolazione il test che permette di individuare  l’HPV (HPV-test). L’uso combinato del pap test e dell’ HPV- test consente di diagnosticare circa il 97% delle lesioni.
L’assenza del virus permette di considerare la donna a basso rischio, sia nello screening sia nel follow-up dopo l’eliminazione chirurgica di una lesione.
Recentemente (febbraio 2007) è stato commercializzato il vaccino anti-HPV.
Ne esistono due: uno per i ceppi 16-18 (a rischio oncogeno) e 6-11 (a rischio condilomi) e l’altro solo per i ceppi 16-18.
Il vaccino si è dimostrato efficace (previene nel 98-100% dei casi l’insorgenza di H-SIL) e sicuro (effetti collaterali modesti, in linea con altri tipi di vaccino in uso in Italia).
Prevede 3 dosi somministrate a 0, 2 e 6 mesi. Attualmente sappiamo che la immunizzazione persiste per 4 anni, ma solo perché non abbiamo ulteriore retrospettiva storica: si suppone che come per altri vaccini la sua durata sia nettamente maggiore.
Il Servizio Sanitario Nazionale ne ha prevista l’offerta gratuita a tutte le dodicenni: questo è di evidente utilità sociale, perché nel giro di alcuni anni (forse 10-15) riuscirebbe a ridurre drasticamente la prevalenza dell’infezione nella popolazione.
Diverso il discorso nell’ottica di una singola ragazza di età superiore che volesse aderire spontaneamente alla politica vaccinale. Le perplessità su tale scelta sarebbero molte:

se ha più di 26 anni se ne sconsiglia l’uso comunque
se ha già iniziato i rapporti il rischio di aver già contratto l’infezione è alto e in tal caso l’efficacia del vaccino è bassa
identificare le donne che hanno già contratto l’infezione è possibile, ma con notevoli limiti, e quindi ancora con efficacia bassa
se la ragazza non ha ancora avuto rapporti deve sapere che facendo il pap test regolarmente (magari annualmente) il rischio di ritrovarsi una diagnosi di cancro cervicale è assolutamente implausibile  e improbabile (forse analogo a una ragazza vaccinata: esistono altri ceppi HPV non coperti dal vaccino): potrebbe invece trovare una displasia precancerosa, ma questa con un trattamento chirurgico mini-invasivo localizzato (generalmente ambulatoriale) le toglie la lesione e la sua situazione torna normale
il vaccino comunque non deve generare l’idea che possano evitarsi i pap test o le precauzioni sulla trasmissione sessuale delle malattie infettive (vedi HIV)

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PAP TEST, COLPOSCOPIA, HPV TEST E VACCINO

 

Il cancro mammario è il più frequente tumore maligno nella donna: si calcola che il rischio di esserne colpita nel corso della vita sia di circa 1 su 10.

E’ la prima causa di morte nelle donne italiane tra i 30 ed i 50 anni.
Tra i fattori di rischio maggiori vi sono l’età sopra i 40 anni, la familiarità e la terapia ormonale sostitutiva, mentre non è un fattore di rischio la pillola contraccettiva.
Ai fini prognostici risulta fondamentale la diagnosi precoce.
L’autopalpazione può essere utile, però consente di individuare noduli già di discrete dimensioni.
La palpazione effettuata dal ginecologo nell’ambito della visita routinaria annuale risulta più sensibile, ma ancora di più lo sono le indagini strumentali.
Per le donne sopra i 45 anni si raccomanda lo screening mammografico, che consente di individuare anche tumori non palpabili: si propongono controlli ogni due anni (ogni anno per le donne con familiarità positiva o in menopausa in terapia ormonale sostitutiva).
Il timore che queste radiazioni, ai bassi dosaggi attualmente impiegati, possano aumentare il rischio di insorgenza di tumori è ingiustificato e irrilevante nei confronti dei vantaggi offerti dall’esame.
Invece in donne fino ai 45 anni può essere proposto l’esame ecografico, che risulta essere innocuo perché utilizza ultrasuoni, e risulta avere una notevole sensibilità nel discriminare tra neoformazioni cistiche o solide, sia benigne sia maligne, in particolare proprio nel seno denso della donna giovane, ove invece la mammografia perde in sensibilità.
Le indicazioni all’ecografia sono:

valutazione di primo livelo dei noduli riscontrati alla visita in donne fino ai 45 anni
indagine di primo livello per la ricerca di lesioni in donne dai 40 ai 45 anni, indicativamente ogni 18 mesi
indagine di primo livello in donne sopra i 45 anni, non in menopausa, nell’anno di intervallo tra una mammografia e quella successiva, se le mammografie vengono effettuate ad anni alterni
approfondimento di reperti mammografici dubbi
guida per procedure diagnostiche interventistiche
Per una buona sensibilità dell’esame ecografico sono indispensabili un ecografista particolarmente esperto nel settore e un moderno ecografo ad altissima risoluzione.
In alcuni casi è comunque necessario completare l’esame con una mammografia o un agoaspirato del nodulo.





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SENOLOGIA:

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